IRI rinviata pesa sulle scelte imprenditoriali


  • Il rinvio al 2018 scombina gli acconti del 2017

    Il rinvio della disciplina Iri a partire dal prossimo anno (2018), anziché dal 2017, impatta negativamente sulle imprese “virtuose”. Per valutare la relativa convenienza, le imprese si erano già mosse a partire dall’anno in corso, con il passaggio alla contabilità ordinaria e con la contrazione dei prelievi, in modo tale da ottenere l’agognato risparmio d’imposta.
    Il disegno relativo alla legge di bilancio 2018 è già, in buona parte, definito e, tra le numerose pieghe del corposo documento si legge (attuale art. 91) che “le disposizioni di cui all’articolo 1, commi 537 e 548 della legge 11 dicembre 2016 n. 232, si applicano a decorrere dal 1 gennaio 2018”.
    Dalla relazione tecnica si evince, ulteriormente, che la disposizione in commento rinvia dal 2017 al 2018 l’entrata in vigore del regime Iri, come introdotto, appunto, con l’articolo 1, commi 547-549 della legge 11/12/2016, n. 232 (Legge di bilancio 2017) e che, il detto regime, è stato introdotto in un’ottica di equiparazione nell’imposizione dei redditi d’impresa, a prescindere dalla forma organizzativa adottata.
    Lo stesso regime aveva, inoltre, quale obiettivo prioritario, quello di favorire la capitalizzazione delle imprese poiché separa, ai fini impositivi, il reddito derivante dall’impresa dagli altri redditi percepiti dall’imprenditore, assoggettati all’ordinaria Irpef in misura progressiva.
    Innanzitutto, si evidenzia che il detto regime ha natura opzionale ed è destinato a tutte le imprese individuali e le società di persone commerciali in contabilità ordinaria; è inevitabile, quindi, che, al fine di valutare la convenienza nell’applicazione della disciplina in commento, i contribuenti, con l’aiuto dei propri professionisti, hanno eseguito, a cavallo del 2016/2017, tutta una serie di analisi, a partire dal fatto che il reddito effettivamente prodotto potesse essere oggetto o meno di successiva distribuzione al titolare e/o ai soci; in effetti, l’agevolazione è finalizzata, come detto, al consolidamento patrimoniale delle imprese, con l’esecuzione di una tassazione proporzionale (24%) in luogo di una tassazione a scaglioni, quale è tipicamente l’Irpef.
    In aggiunta, è stata eseguita anche l’ulteriore valutazione, a partire dall’1/1/2017, dei costi-benefici della tenuta di una contabilità ordinaria e, quindi, l’eventuale passaggio per opzione, con la conseguente modifica dell’impianto contabile dell’impresa; si pensi, per esempio, all’imprenditore individuale che, notoriamente, per volumi e per impostazione mentale (forma mentis) è poco propenso alla tenuta di una contabilità che lo obbliga a registrare cronologicamente tutti i movimenti, anche di natura finanziaria (questo a prescindere dall’introduzione, dal medesimo anno, del noto “regime di cassa” per le imprese minori).
    Sulla base delle informazioni storiche dell’impresa, inoltre, i contribuenti hanno verificato certamente la convenienza dell’applicazione del nuovo regime opzionale che, come appare evidente anche da semplici calcoli, il beneficio è tanto maggiore quanto più alto risulta il reddito realizzato, per effetto dell’impatto che hanno gli scaglioni Irpef, a fronte di una contenuta distribuzione degli utili; la conseguenza, inevitabile, è che molti contribuenti, vista la possibilità di applicare la disciplina in commento, hanno contenuto la distribuzione degli utili, eseguendo una contrazione dei prelievi, se previsti statutariamente, anche in corso d’esercizio, con un occhio a rendere l’aliquota marginale Irpef più prossima a quella indicata per l’Iri.
    Non solo. I contribuenti, atteso il relativo risparmio fiscale, potrebbero aver rideterminato gli acconti per il 2017, versando inevitabilmente importi inferiori.
    La conseguenza, aggravante del rinvio a partire dal 2018 della disciplina in commento, è che i contribuenti che hanno effettuato tali mosse, non solo si trovano a gestire una contabilità ordinaria in luogo di una contabilità di cassa destinata alle imprese minori, con maggiori costi, ma potrebbero anche, paradosso dei paradossi, a essere sanzionati per aver versato acconti insufficienti per il periodo d’imposta 2017, con ulteriore incertezza sulla rimodulazione degli acconti di novembre (sempre che sia confermato, anzitempo, il rinvio dell’applicazione del regime).
    Si deve anche rilevare che, posta la forzatura di cambiare le regole in corsa da parte del legislatore sempre da scongiurare, non sempre il nuovo regime risulta conveniente, dal punto di vista del risparmio fiscale, dovendo valutare l’applicazione caso per caso, anche per la presenza di altre variabili da considerare, non ultima quella riferibile al passaggio alla contabilità ordinaria, che com’è noto deve essere mantenuta “obbligatoriamente” per almeno cinque anni.
    Nell’ulteriore gruppo di variabili, considerate necessariamente prima del passaggio, si evidenziano quelle concernenti il rapporto tra le riserve di utili e i prelevamenti dei soci, le deduzioni e le detrazioni di cui i contribuenti possono beneficiare, anche relativamente al reddito realizzato, nonché le aliquote marginali Irpef, tenendo conto anche delle addizionali diversificate per enti locali che, come detto, possono aver influenzato il contribuente. Fabrizio G. Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)


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