Per la commercializzazione di piante vive e prodotti della floricoltura, acquistate da imprenditori agricoli florovivaistici, il reddito è determinato applicando all'ammontare dei corrispettivi un coefficiente di redditività fissato nella misura del 5%. Tale possibilità è condizionata, però, dal fatto che le dette operazioni non superino il 10% del volume di affari e siano eseguite con altri imprenditori agricoli florovivaistici ma mette a repentaglio l’inquadramento civilistico del produttore, stante le recenti sentenze di alcuni Tribunali.
Questa possibilità è stata introdotta con il comma 225, dell’art. 1, della legge 160/2019 (legge di Bilancio per il 2020) e prevede, a partire dallo scorso 1° gennaio, un nuovo regime agevolato ad hoc per la determinazione del reddito d’impresa dei florovivaisti.
Il legislatore, aggiungendo il comma 3-bis, all’art. 56-bis del D.P.R. 917/1986 (TUIR) ha previsto, infatti, che per le attività dirette alla commercializzazione di piante vive e prodotti della floricoltura acquistate da imprenditori agricoli florovivaistici, di cui all’art. 2135 c.c., da altri imprenditori agricoli florovivaistici, il reddito sia determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’Iva il coefficiente di redditività del 5%.
Preliminarmente, si ricorda che , la Corte d’Appello di Firenze (sentenze 1813/2016 e 736/2019), nelle relative motivazioni, ha affermato che l’esercizio di un’attività commerciale, al fianco di quella tipicamente agricola, di cui all’art. 2135 c.c., comporta il fallimento dell’impresa, essendo “irrilevante” il rapporto percentuale tra detta attività e quella agraria (si cita la Suprema Corte di Cassazione, sentenza 12215/2012).
La norma è fin troppo ermetica ma si rende necessario evidenziare, innanzitutto, che l’art. 56-bis del TUIR risulta applicabile sicuramente ai soggetti persone fisiche, alle società semplici e agli enti non commerciali, ma si ritiene anche alle società di persone (snc, sas) e di capitali (spa, sapa, srl, società cooperative, ecc.) agricole con esercizio dell’opzione per la tassazione fondiaria poiché, per un mancato coordinamento normativo, l’esclusione nell’applicazione prevista per questi soggetti dal comma 4, del medesimo articolo 56-bis del TUIR richiama solo i commi 1, 2 e 3 e non anche il nuovo 3-bis.
Detto regime, quindi, appare “naturale” per la tassazione di queste operazioni da parte dei soggetti ammessi ma, dal punto di vista operativo, si rende necessario che il fornitore sia un imprenditore agricolo florovivaista, come qualificabile ai sensi dell’art. 2135 c.c. e che le piante e i prodotti della floricoltura acquistati siano stati direttamente coltivati dallo stesso soggetto.
Il problema è che la norma non limita gli acquisti ai soggetti collocati sul territorio nazionale, facilmente identificabili e con attività verificabili anche sulla base di quanto indicato nei certificati camerali, con la conseguenza che restando valida l’applicazione anche per le piante e i prodotti acquistati dall’estero, risulta molto difficile verificare e comprendere se il fornitore estero (per esempio, l’olandese di turno) sia un vero e proprio produttore o un mero commerciante.
L’altro problema concerne la determinazione della soglia giacché il legislatore si limita a condizionare l’applicazione alle operazioni non superiori al 10% del volume d’affari senza indicare ulteriormente di quale periodo; la semplice lettura della disposizione in commento porta a confrontare gli acquisti destinati alla commercializzazione sul medesimo periodo d’imposta e non su quello già consolidato dell’anno precedente.
Per esempio, deve certamente rientrare nel regime indicato il produttore agricolo che acquista piante da altro produttore, anche estero, non da ricoltivare (attività da qualificare sempre agricola) ma da commercializzare (quindi con vendita immediata e senza alcuna attività di manipolazione, come determinata dalla risoluzione 11/E/2018 dell’Agenzia delle entrate) nel 2020, per un ammontare di euro 90 mila, rispetto ad un volume d’affari per il medesimo periodo d’imposta (2020) pari a 1 milione di euro.
Un terzo problema è quello concernente la paventata necessità di annotare separatamente, in appositi sezionali, tali acquisti e relative vendite, al fine di rendicontare, in sede di dichiarazione dei redditi o in caso di verifica dell'Agenzia delle Entrate, la detta attività commerciale; la separazione delle attività, si ricorda, costituisce un obbligo, ai sensi dell'art. 36 del D.P.R. 633/1972, soltanto in determinati casi (per esempio, in presenza di esercizio di attività agricola in regime speciale) restando assolutamente facoltativa in tutti i casi non specificatamente contemplati.
La conseguenza è, pertanto, che in applicazione del nuovo regime non è affatto necessario che sia tenuta una contabilità separata, salvo la presenza dei casi per cui la norma la rende obbligatoria (per esempio, l’applicazione di diversi regimi Iva), ma appare sufficiente adottare soluzioni, anche extracontabili, idonee a distinguere i corrispettivi relativi a ciascuna delle attività, in modo da consentire il corretto adempimento degli obblighi contabili e fiscali. Fabrizio G. Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)
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