Niente concordato preventivo biennale con redditi esenti superiori al 40% del reddito


  • Fuori i contribuenti che nell'anno precedente all'adesione hanno cospicui utili esenti

    Non possono accedere al concordato preventivo biennale le imprese e i lavoratori autonomi il cui reddito non concorre in maniera consistente (oltre la soglia del 40%) alla determinazione della base imponibile.

    Per la corretta applicazione dell’esclusione delle imprese, quindi, si deve far riferimento al reddito detassato e, di conseguenza, al regime di detassazione dello stesso e non anche ai ricavi, sebbene parzialmente o interamente esenti.

    Questo l’ulteriore chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate con altre specifiche risposte alle domande frequenti dello scorso 8 ottobre (FAQ).

    La lett. b-bis), del comma 11 dell’art. 11 del d.lgs. 13/2024, di nuova introduzione e destinata ai soggetti Isa, dispone che non possono aderire alla proposta di concordato preventivo biennale (CPB) i contribuenti che, con riferimento al periodo d’imposta precedente (2023, per il primo biennio di applicazione) a quello cui si riferisce la proposta (primo biennio 2024/2025), hanno conseguito, nell’esercizio di arti e professioni, “redditi o quote di redditi”, comunque denominati, in tutto o in parte, esenti, esclusi o non concorrenti alla determinazione della base imponibile, nella misura superiore del 40% del reddito derivante dall’esercizio dell’impresa do di lavoro autonomo.

    Quindi, per esempio, a fronte di un reddito di 10.000 euro, se lo stesso, per effetto dell’applicazione di un regime particolare, non risulta tassato al 50%, quindi per 5.000 euro, il contribuente non può sottoscrivere il patto con il Fisco.

    L’obiettivo, piuttosto chiaro della nuova disposizione, è finalizzato a evitare distorsioni nell’applicazione dell’istituto concordatario, nel caso in cui il contribuente abbia conseguito, nell’ambito della propria attività, redditi non tassati in una percentuale piuttosto elevata (superiore, come detto, al 40%).

    La disposizione, per come scritta, sembrava colpire un ampio perimetro tant’è che molti autori, tra le varie ipotesi, avevano segnalato la possibile esclusione dal patto, in attesa di chiarimenti in merito, in presenza di redditi prodotti nelle zone franche urbane (Zes), di cui ai commi 340 e seguenti dell’art. 1 della legge 296/2006, di redditi prodotti dai lavoratori impatriati, di cui art. 16 del d.lgs. 147/2015 e all’art. 5 del d.lgs. 209/2023 nonché di alcuni componenti di reddito in regime di esenzione come i dividendi, di cui all’art. 89 del D.P.R. 917/1986 (TUIR) e le plusvalenze in regime pex (participation exemption), di cui al precedente art. 87 del medesimo testo unico.

    Con questa situazione era evidente che, al fine di valutare la possibilità di accesso al patto, gli operatori avrebbero dovuto eseguire un calcolo complesso, finalizzato alla verifica della soglia del 40%, che doveva sicuramente tenere conto della totalità dei redditi esenti, esclusi o non concorrenti alla formazione della base imponibile, da una parte, e del reddito imponibile, probabilmente al lordo dei citati componenti positivi di reddito, dall’altra.

    Con la risposta recentemente fornita, l’Agenzia delle entrate, richiamando la disciplina, di cui alla citata lett. b-bis), del comma 1 dell’art. 11, come introdotta dal decreto correttivo (d.lgs. 108/2024), pare aver limitato il perimetro ai soggetti che non realizzano ricavi esenti ma soltanto che beneficiano di regimi di tassazione del reddito, totalmente o parzialmente agevolati e, pur evidenziando che l’indicazione ha una valenza meramente esemplificativa, ha precisato che sicuramente la causa di esclusione, introdotta ex novo, risulta applicabile alle imprese che esercitano la pesca costiera o interna e lagunare, le quali portano a tassazione soltanto il 36% del reddito realizzato, ai sensi del comma 2, dell’art. 2 della legge 2023/2008 e ai docenti e ricercatori che, al ricorrere delle condizioni previste dall’art. 44 del D.L. 78/2010, come convertito con modificazioni dalla legge 122/2010, beneficiano di una esenzione da tassazione nella misura del 90% del reddito di lavoro autonomo realizzato.

    Una ulteriore situazione riguardava le imprese autorizzate all’autotrasporto di merci che fruiscono della deduzione forfetaria, di cui al comma 4 dell’art. 95 del D.P.R. 917/1986 per la presenza di una criticità nella determinazione dell’importo del reddito relativo al periodo 2023 e conseguente compilazione del modello CPB 2024/2025.

    Sul punto, l’Agenzia delle entrate ha precisato che, stante il fatto che la deduzione forfetaria, di cui al comma 4 del D.P.R. 917/1986, già partecipa, secondo le regole ordinarie, alla determinazione del reddito d’impresa, la stessa non deve essere ulteriormente scomputata in sede di calcolo dell’importo del reddito d’impresa da indicare nel rigo “P04”; analogamente, anche la proposta concordataria, riferibile ai periodi di imposta 2024 e 2025, non deve essere ulteriormente ridotta della deduzione forfetaria citata. Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)

     

     

     

     

     


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