Legittima la condanna alle spese nella fase cautelare. Il legislatore, pertanto, ha operato correttamente nell’ambio della propria delega, poiché la detta previsione rafforza ulteriormente l’efficacia deterrente della fase contenziosa.
Per la Corte Costituzionale (sentenza 278/2016), quindi, la lettera f), del comma 1, dell’art. 9, d.lgs. 156/2015, che ha revisionato la disciplina degli interpelli e del processo tributario, nella parte in cui si prevede l’addebito delle spese nella fase cautelare del processo (diniego della sospensione, per esempio), con l’introduzione del comma 2-quater, all’art. 15, al d.lgs. 546/1992, non è assolutamente in contrasto con i precetti costituzionali sulla legge delega (art. 76).
Le richiamate disposizioni, in effetti, prevedono che, con l’ordinanza che decide sulle istanze cautelari, la commissione determina anche l’entità delle spese della medesima fase e che, la detta pronuncia, conserva la propria efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salva diversa possibilità specificamente indicata nella sentenza di merito.
Quindi, per esempio, in caso di richiesta, nel ricorso introduttivo, della sospensione del pagamento frazionato, di cui all’art. 15, dpr 602/1973, successivamente denegata, la commissione adita, con la relativa ordinanza, procede con l’addebito delle spese riferibili a tale definizione, potendo eventualmente rivedere la posizione nella successiva sentenza che dispone sui contenuti del ricorso introduttivo (merito); in caso di mancata previsione nell’ambito della sentenza di merito, anche se favorevole al contribuente che ha presentato il ricorso introduttivo, le spese si devono ritenere definite e restano comunque dovute.
Sul punto, la commissione tributaria provinciale di Treviso, con apposita ordinanza, ha eccepito una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 76 della carta costituzionale, ritenendo che la legge delega (legge 23/2014) sul tema nulla ha previsto e, quindi, che il legislatore è andato oltre i confini della delega assegnata; i giudici di prima facie hanno evidenziato, infatti, che l’art. 10 della detta legge si limita a prevedere l’individuazione di criteri di maggior rigore nell’applicazione del principio di soccombenza.
La Consulta, però, dopo aver ripercorso il completo iter dell’eccezione posta alla sua valutazione, affronta preliminarmente il problema temporale, confermando che il momento, ai fini dell’individuazione della norma da applicare, è quello relativo all’adozione della pronuncia cautelare e, in secondo luogo, affronta il presunto eccesso di delega, confermando il mancato fondamento del rilievo.
Infatti, su questo tema, centrale rispetto alla questione complessivamente sollevata, i giudici costituzionali ricordano che il governo era sicuramente delegato a introdurre norme per il rafforzamento giurisdizionale del contribuente ma, allo stesso tempo, erano chiamati a rafforzare il principio di soccombenza nelle liti.
La conseguenza è, pertanto, che la questione di legittimità sollevata non è fondata poiché il legislatore delegato, con l’introduzione della condanna delle spese anche nella fase cautelare, ovvero nella fase precedente alla valutazione del merito, ha eseguito una corretta attività di “riempimento” di due livelli normativi, ha applicato il principio sostanziale della soccombenza con una regola più rigorosa, di tipo processuale, e ha rafforzato gli effetti deterrenti della condanna alle spese, come naturale conseguenza al criterio d’incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, di cui alla lettera b), comma 1, art. 10, legge 23/2014. Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI. (riproduzione riservata)
Pistoia, PT, Italia
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