Il contribuente è indenne in assenza di vantaggi economici nella frode fiscale


  • Assenza di una operazione soggettivamente inesistente e annullamento dell’avviso di accertamento

    L’assenza di qualsiasi tipo di rapporto (partecipazioni societarie incrociate, incarichi dirigenziali, cointeressenze, rapporti di parentela e frequentazioni amicali) e di vantaggi economici tra l’impresa accertata e i soggetti coinvolti nella frode fiscale lasciano indenne il contribuente da qualsiasi pretesa erariale.

    Salta, quindi, l’ipotesi di operazione soggettivamente inesistente, con il conseguente annullamento dell’avviso di accertamento.

    Così  i giudici della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Ancona – sezione 1 – che, con la sentenza n. 43/2024, depositata in segreteria lo scorso 5 febbraio, hanno accolto il ricorso della parte contribuente su un tema molto attuale come quello delle operazioni soggettivamente (e oggettivamente) inesistenti, nell’ambito di una frode carosello.

    L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento per recupero dell’Iva del periodo d’imposta 2017, confermando, in sede di costituzione in giudizio, che, per effetto di una serie di atti dimostrativi, la società ricorrente era a conoscenza, al momento dell’esecuzione degli acquisti incriminati, che le operazioni erano messe in atto da un fornitore interposto e privo di capacità operative.

    La stessa agenzia aveva evidenziato che la società accertata non aveva mai allegato dati e documenti comprovanti la regolarità dei rapporti commerciali, come la corrispondenza commerciale, l’individuazione del referente, l’acquisizione di informazioni sull’operatività della ditta fornitrice e che la stessa era da tempo informata sulle criticità del detto fornitore.

    I giudici aditi, sentiti i professionisti nel corso della pubblica udienza, hanno ritenuto che il ricorso fosse invece meritevole di accoglimento, sulla base di una serie di valutazioni, sebbene da una parte gli stessi giudici abbiano ritenuto che fossero presenti elementi tali da rilevare come il fornitore fosse un mero soggetto interposto e dall’altra che la mancanza di conoscenza degli atti di indagine prodromici fosse anche frutto, si dice testualmente, di una colpevole inerzia della società ricorrente.

    Nel merito, i giudici hanno condiviso l’orientamento della più recente giurisprudenza di legittimità, la quale ritiene che, in presenza di operazioni solo soggettivamente inesistenti, è l’amministrazione finanziaria che, nel contestare la fatturazione e, quindi, la detrazione del tributo (Iva), ha l’onere di dimostrare, in base a elementi oggettivi e specifici, non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente fosse a conoscenza (sapeva o avrebbe dovuto sapere), con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si innescava in un contesto di natura fraudolenta.

    Per i giudici di prime cure, invece, gli elementi addotti dall’Agenzia delle Entrate sono risultati esclusivamente incentrati sulle caratteristiche della società fornitrice, peraltro accertate soltanto in seguito ad approfondite indagini, anche internazionali, eseguite da una serie di organi inquirenti; si trattava, in sintesi, di elementi come l’assenza di dotazioni strumentali, di logistiche e di personale ma anche di omessa tenuta della contabilità e di redazione di bilanci infedeli, di inidoneità della sede, del ruolo di prestanome dell’amministratrice formalmente nominata e altro ancora.

    Di conseguenza, nel valutare la diligenza del legale rappresentante della società ricorrente, i giudici hanno evidenziato che non si può non tenere conto delle dimensioni molto contenute dell’impresa accertata, la cui operatività risulta essenzialmente accentrata nelle mani di un solo impiegato amministrativo e del fatto che la società aveva dimostrato la bontà della materia prima fornita e che i prezzi della stessa erano congrui con quelli di mercato, con conseguente assenza di evidenti vantaggi economici.

    Quindi, i giudici hanno ritenuto opportuno accogliere il ricorso, condannare l’ufficio alle spese di giudizio, anche in relazione all’assenza di legami tra i componenti della società ricorrente e il fornitore (partecipazioni societarie incociate, legami di amicizia e parentela o cointeressenze economiche). Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata) 

     

     

     


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