Giudice specializzato e full time con la riforma del processo tributario


  • Contraddittorio obbligatorio pena la decadenza dell'accertamento

    Giudice di merito specializzato e a tempo pieno. Questa il principale intervento per iniziare con il piede giusto la necessaria riforma della giustizia tributaria finalizzata ad assicurare una riduzione dell’afflusso delle cause dinanzi alla Cassazione e a migliorare l’efficacia e l’efficienza del sistema. Contraddittorio endoprocedimentale obbligatorio, pena la nullità dell’atto di accertamento.

    Così i contenuti della seconda parte, rubricata “Le proposte di interventi elaborate dalla Commissione”, della relazione finale, concernente la riforma o meglio, il restyling del contenzioso tributario, redatta dalla commissione interministeriale del ministero dell’economia e delle finanze e del ministero della giustizia del 30 giugno scorso (si veda, ItaliaOggi 2/07/2021).

    La parte indicata risulta estremamente corposa e apre con un prospetto riassuntivo e di confronto tra due opzioni relative alle proposte concernenti la giustizia tributaria; in estrema sintesi, si indicano alcune proposte relativamente alla nomina dei giudici di primo e secondo grado e si trattano le liti minori, la formazione, l’inquadramento e l’organico dei giudici, nonché il processo e l’organizzazione dei primi due gradi di giudizio.

    La prima esigenza, sentita da numerosi consigli nazionali delle varie categorie  professionali (commercialisti, consulenti del lavoro, legali e quant’altro) è quella di procedere con la previsione di un giudice di merito specializzato e full time, nominato con concorso, cui si dovrebbe aggiungere l’istituzione di una sezione specializzata della Suprema Corte alla quale possono dare il loro apporto i giudici tributari che hanno esercitato con professionalità la giurisdizione nei primi gradi di giudizio.

    Il secondo passaggio riguarda il contraddittorio obbligatorio, da inserire con una specifica norma all’interno dello Statuto dei diritti del contribuente (legge 212/2000), con il quale si sancisce la nullità degli atti di accertamento in assenza della convocazione del contribuente prima dell’emissione dei citati atti; come proposta subordinata dovrebbero restare esclusi, dall’invito obbligatorio, gli avvisi di accertamento parziale, di cui all’art. 41-bis del dpr 600/1973, fondati esclusivamente sui dati presenti in anagrafe tributaria.

    D’altra parte, anche la giurisprudenza di legittimità è da tempo orientata a riconoscere il diritto al contraddittorio al di fuori del procedimento di applicazione dei tributi armonizzati e, recentemente, il legislatore ha introdotto una disposizione (art. 5-ter del d.lgs. 218/1997) diretta ad assicurare il detto contraddittorio con riferimento ai principali tributi erariali.

    In tema di autotutela tributaria si evidenzia la natura essenzialmente discrezionale ma, in presenza di atti, spesso palesemente illegittimi, si ritiene necessario, come affermato anche recentemente dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 181/2017), introdurre una norma che indichi i casi di autotutela obbligatoria e i limiti all’esercizio del potere di auto-annullamento; sul tema, quindi, viene proposto l’inserimento di una disposizione nella legge 212/2000 citata che preveda una serie di casi per i quali deve scattare l’autotutela, senza la necessità dell’istanza di parte (errore di persona, errore logico o di calcolo, errore sul presupposto del tributo, doppia imposizione e quant’altro).

    Non poteva essere tralasciato un intervento sull’istituto della conciliazione giudiziale con un intervento necessario sull’art. 15 del d.lgs. 546/1992 che preveda, in caso di non accettazione dell’accordo senza giustificato motivo da una delle parti in causa, la maggiorazione delle spese nella misura del 50%, cui si aggiungono modifiche sulla gestione dell’udienza e redazione del processo verbale.

    Il successivo intervento riguarda la tutela contro gli atti illegittimi e sul tema si propone l’inserimento di un nuovo comma all’art. 7 del d.lgs. 546/1992 con il quale si dispone che le commissioni adite non possono porre, a fondamento della propria decisione, elementi di prova acquisiti “in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale”.

    Per concludere la sommaria analisi di questa sezione, la relazione interviene sull’impugnabilità degli estratti di ruolo, ferma restando l’impugnabilità della cartella, e dopo l’analisi della natura dell’estratto, che si ribadisce non costituisce un atto di riscossione e non contiene, per sua natura, nessuna pretesa esattiva, né impositiva e non ha natura direttamente lesiva della sfera patrimoniale del debitore, la proposta prevede la “non” impugnabilità, garantendo sempre i diritti dei debitori cui resta la possibilità di impugnare il primo atto di riscossione agli stessi notificato. Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)

     


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