Studi associati fuori dal fondo perduto


  • Niente da fare per i professionisti anche associati

    L’Agenzia delle entrate esclude dal contributo a fondo perduto gli studi associati, formati da professionisti iscritti alle relative casse di previdenza. Per il calcolo del contributo, inoltre, è necessario tenere conto anche le fatture emesse su base volontaria, sebbene  l’emissione non sia obbligatoria ma, si ritiene, eventualmente e soltanto per le istanze presentate dopo l’emanazione del recente documento di prassi.

    Questi i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate con la circolare 22/E del 21 luglio scorso (si veda ItaliaOggi, 22/07/2020) sul tema del contributo a fondo perduto, di cui all’art. 25 del dl 34/2020.

    Si ricorda, innanzitutto, che la detta circolare è intervenuta già in estremo ritardo rispetto alla data di partenza per la presentazione delle richieste, sebbene queste ultime possano essere presentate dal 15/06/2020 al 13/08/2020 ovvero dal 25/06/2020 al 24/08/2020 nel caso in cui il soggetto richiedente sia un erede che continua l'attività per conto del soggetto deceduto, con la conseguenza che ci saranno sicuramente situazioni di cui i contribuenti (e gli operatori) non avranno, per logica, tenuto conto.

    Una prima situazione riguarda l’esclusione degli studi associati formati da professionisti iscritti alla cassa di previdenza di riferimento confermata dalla circolare in commento che richiama il precedente documento di prassi (circ. 15/E/2020) per il semplice motivo che i detti studi associati non sono in possesso di una propria autonomia giuridica; affermazione in totale contrasto la giurisprudenza di legittimità (Cassazione, sentenza n. 8768/2018) la quale ha affermato, inequivocabilmente, che lo studio associato, pur essendo privo della personalità giuridica, “rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi (quali società personali, le associazioni non riconosciute, i condomini edilizi, i consorzi con attività esterna e i gruppi di interesse economico di cui i liberi professionisti possono essere membri) cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici”, con l’ulteriore discriminante rispetto alle società tra professionisti (stp) e alle società artigiane con soci professionisti cui, al contrario, viene concessa la possibilità di ottenere il contributo.

    Il ragionamento dell’agenzia è ulteriormente tarato sul fatto che dal contributo, ai sensi del comma 2 del citato art. 25, sono esclusi i soci di società commerciali ma non il soggetto collettivo che, al contrario, mantiene il diritto a fruire del fondo perduto, naturalmente in presenza delle condizioni richieste.

    Un’altra situazione analizzata riguarda la verifica dell’ammontare dei ricavi, in relazione al confronto tra il fatturato di aprile 2020 rispetto al fatturato del mese di aprile 2019.

    Come indicato in una risposta a uno specifico quesito (risposta 3.4) ai fini della riduzione del fatturato, di cui al comma 4 dell’art. 25, è necessario considerare tutte le somme che costituiscono il fatturato del periodo di riferimento che, a causa del non perfetto allineamento tra la data di effettuazione (art. 6 del dpr 633/1972) dell’operazione di cessione dei beni o della prestazione di servizi eseguita e la relativa fatturazione, risultano antecedenti o successive.

    Detto della necessità di considerare anche i passaggi interni (risposta 4.1), per “ragioni di semplificazione”, lascia notevolmente perplessi la risposta fornita in presenza di operazioni che nulla hanno a che vedere con il regime Iva (si tratta delle operazioni fuori campo come, per esempio, quelle relative al riaddebito delle spese anticipate in nome e per conto, di cui all’art. 15 del decreto Iva) che, per l’agenzia concorrono alla determinazione dell’ammontare dei ricavi riferibili ai mesi di aprile 2019 e 2020.

    Invero, il comma 4 del citato art. 25 chiede un confronto tra il fatturato e i corrispettivi del mese di aprile 2020 rispetto al fatturato e ai corrispettivi del medesimo mese dell’anno precedente (2019) e, quindi, risulta incomprensibile l’affermazione che occorre far riferimento all’ammontare dei ricavi da individuare e riferire ai mesi di aprile 2020 e 2019, tenendo conto delle regole di determinazione del reddito, sebbene l’ammontare (per esempio, il riaddebito citato) sia stato inserito in fattura per atto semplicemente volontario, senza che ne sia richiesta l’indicazione in fattura, essendo un importo escluso dalla base imponibile e, quindi, fuori dal campo di applicazione del tributo.

    La situazione si complica ancora di più, sia in presenza di operazioni consistenti che, pur non rilevanti ai fini Iva, sono soggette all’obbligo di fatturazione, ai sensi dell’art. 22 del decreto Iva, sia per l’assunzione dei valori da parte dei software professionali che, inevitabilmente, pescano solo i valori che hanno partecipato alla liquidazione Iva periodica, come indicati, peraltro, anche nei modelli relativi (lipe).

    Si ritiene, sul punto, nonostante l’assenza di una indicazione esplicita nella circolare in commento, che le istruzioni fornite non potranno che essere applicate, eventualmente, dalle istanze presentate in data successiva a quella dell’emanazione (quindi dal 22/07/2020), senza costringere i contribuenti (e intermediari) a eseguire nuovamente i calcoli e rettificare le istanze già presentate, magari già liquidate, nel rispetto di quanto sancito dalla legge 212/2000 (Statuto dei diritti dei contribuenti). Fabrizio Giovanni Poggiani - ITALIA OGGI (riproduzione riservata)


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