Nell’atto di compravendita non è obbligatoria l'indicazione della liberalità indiretta


  • Liberalità indiretta senza indicazione nell'atto

    Non è sempre necessario dare menzione della liberalità nell’atto di compravendita poiché il pagamento del prezzo di un immobile, di quote o di altri beni da parte di un soggetto terzo, può essere comunicato e dimostrato anche successivamente all’atto, nell’ambito di una procedura di accertamento.
    Questa l’analisi della recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione (sentenza n. 13133/2016) sulle liberalità indirette e relativo collegamento negoziale, eseguita dal Consiglio nazionale del notariato con lo studio 29-2017/T, approvato lo scorso 26 ottobre.
    E’ il caso di soggetti terzi, generalmente familiari (genitori, in particolare), che mettono a disposizione degli acquirenti, altri parenti (in genere figli) la liquidità necessaria per far fronte al pagamento del prezzo di unità immobiliari, quote o altri beni.
    Lo studio ricorda che due sono le ipotesi con le quali si mette a disposizione la provvista: una che contempla il caso in cui è lo stesso familiare, intervenuto in atto, che procede direttamente al pagamento e l’altra, che configura una donazione informale (in deroga alle prescrizioni dell’art. 782 c.c.), con la quale il soggetto terzo esegue un bonifico con causale “liberalità” a favore dell’effettivo acquirente del bene.
    Il documento analizza i vari passaggi oggetto della sentenza indicata, con la quale la Suprema Corte aveva ritenuto inapplicabili le nuove franchigie, aderendo all’indicazione del secondo grado di giudizio, secondo cui un’esenzione o, più in generale, un’agevolazione richiede un’espressa richiesta da parte del contribuente, in modo tale di far emergere tempestivamente gli elementi costitutivi del rapporto e in modo tale che l’amministrazione finanziaria possa essere messa immediatamente in condizione di verificare la sussistenza delle condizioni prescritte.
    Il notariato, però, evidenzia le proprie perplessità giacché le conclusioni dei giudici di legittimità non risultano supportate da alcuna norma cogente, sussistendo esclusivamente il regime, di cui all’art. 1, comma 4-bis, d.lgs. 346/1990, con l’ulteriore considerazione che gli orientamenti emersi nel contenzioso appaiono eccessivamente rigorosi, stante la richiesta che il collegamento negoziale, con l’atto traslativo, debba risultare da dati necessariamente contenuti nell’atto notarile, come l’intervento del disponente o la dichiarazione in ordine al corrispettivo pagato da parte dell’acquirente effettivo.
    In effetti, stante il silenzio della norma, la prova del collegamento negoziale può essere fornita, a detta del notariato, anche successivamente, senza che sia necessario né l’intervento in atto del soggetto terzo che estingue l’obbligazione, né la semplice menzione, da parte dell’acquirente senza intervento nell’atto del terzo disponente, in ordine alla provenienza “liberale” del denaro utilizzato per il pagamento della compravendita; una diversa lettura, in effetti, comporta un’ingiustificata disparità di trattamento con altre situazioni assimilabili.
    Il documento, infine, evidenzia l’opportunità di indicare, in ordine al coacervo, le precedenti donazioni e, sul punto, dopo aver richiamato alcuni recenti indirizzi giurisprudenziali (tra le altre, Cassazione, sentenza n. 11677/2017), consiglia di menzionare, in una donazione successiva, un pregresso acquisto, a titolo oneroso, eseguito grazie ad altra donazione e/o liberalità indiretta, anche in presenza di una dichiarazione di successione, ciò in quanto la detta fattispecie non rientra tra le situazioni contemplate dal citato comma 4-bis, dell’art. 1, d.lgs. 346/1990, rispettando le disposizioni contenute nel comma 2, dell’art. 57 del testo unico sulle donazioni e successioni. ITALIA OGGI - Fabrizio G. Poggiani  (riproduzione riservata)
     


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