Il differenziale positivo tra l’importo nominale del credito e il relativo prezzo di acquisto non genera reddito imponibile in capo allo studio professionale.
L'Agenzia delle Entrate, recentemente, ha chiarito che è fiscalmente irrilevante il differenziale tra le somme impiegate per acquisire il credito d'imposta derivante da bonus edilizi e il valore nominale degli stessi che verrà utilizzato in compensazione.
Lo ha fatto con la recente risposta all'interpello 30 novembre 2023 n. 472.
La fattispecie analizzata riguardava uno studio associato esercente l’attività professionale dei dottori commercialisti, che ha acquistato crediti d’imposta riconducibili alla detrazione superbonus, di cui all’art. 119 del D.L. n. 34/2020.
Il prezzo di acquisto dei crediti differiva dal loro valore nominale, con conseguente emersione di un differenziale positivo.
Con riferimento ai profili fiscali dell’operazione l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che in assenza di una espressa previsione normativa, destinata ad attribuire rilevanza reddituale all'eventuale differenziale positivo tra l'importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso e stante la non riconducibilità di tale differenziale in una delle categorie reddituali previste dal T.U.I.R.-.
Per l’Agenzia delle Entrate resta esclusa la riconducibilità sia nei redditi di capitale poiché l’acquisto non costituisce un impego di capitale nel senso previsto dall’art. 44 del D.P.R. 917/1986, sia nei redditi professionali, poiché non relativo a una prestazione eseguita dai professionisti dello studio stesso, sia nei redditi diversi non essendo espressamente indicato nell’elencazione tassativa dell’art. 67 del medesimo T.U.I.R.
Il provento, pertanto, non rientra né tra i redditi di capitale, né tra i redditi di lavoro autonomo, né tra i redditi diversi.
Con riferimento ai redditi di capitale, la lettera h), comma 1 dell’art. 44 del D.P.R. 917/1986 dispone che rientrino tra le fattispecie imponibili gli interessi e gli altri proventi derivanti da altri rapporti aventi per oggetto l’impiego del capitale, esclusi i rapporti attraverso cui possono essere realizzati differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Come affermato in passato dalla stessa Amministrazione finanziaria, detta disposizione ha una funzione di chiusura; pertanto “per la configurabilità di un reddito di capitale è sufficiente l’esistenza di un qualunque rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale e quindi anche rapporti che non siano a prestazioni corrispettive ovvero nei quali il nesso di corrispettività non intercorra tra la concessione in godimento del capitale ed il reddito conseguito” (circolare n. 165/1998 § 1.1.13).
In effetti, sono da collocare in questa previsione i proventi che sono qualificabili come frutti civili, ai sensi dell’art. 820 c.c. ovvero quelli che si conseguono come corrispettivo del godimento che un terzo abbia di un capitale e tutti quei proventi che trovano fonte in un rapporto che, pur se non riconducibile tra quelli precedentemente menzionati, presenti come funzione obiettiva quella di consentire un impiego del capitale.
La citata lett. h) qualifica quindi come reddito di capitale ogni rapporto attraverso il quale venga posto in essere un impiego di capitale, intendendosi per tale la semplice concessione temporanea alla controparte della disponibilità del capitale.
Sulla base di tale premesse, l’Agenzia delle Entrate precisa, però, che “l’acquisto del credito d’imposta dietro corrispettivo non costituisce impiego di capitale”.
Con riferimento anche alla qualificazione nei “redditi diversi”, l’Agenzia delle Entrate esclude che si possa applicare la lettera c-quinquies) del comma 1 dell’art. 67 del D.P.R. 917/1986 (T.U.I.R.) sulla base della quale sono assoggettati a tassazione le plusvalenze e gli altri proventi realizzati mediante cessione a titolo oneroso ovvero chiusura di rapporti produttivi di redditi di capitale e mediante cessione a titolo oneroso ovvero rimborso di crediti pecuniari o di strumenti finanziari, nonché quelli realizzati mediante rapporti attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto.
Infine, si deve anche considerare che l'esercizio in forma associata di arti e professioni costituisce, ai sensi del comma 1 dell'art. 53 del D.P.R. 917/1986 (T.U.I.R.), reddito di lavoro autonomo, per cui l'impostazione dell'agenzia non pare giustificabile solo nella misura in cui l'investimento in questione non sia connesso all'attività professionale. Fabrizio Giovanni Poggiani – ITALIA OGGI (riproduzione riservata)
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