Le indagine finanziarie sono attivate dalla Guardia di Finanza solo in presenza di “apprezzabili” indizi di pericolosità fiscale. Con riferimento anche alle dette indagini, il contraddittorio resta, però, un atto dovuto, anche in assenza di una previsione legislativa, al fine di migliorare la verbalizzazione, in aggiunta all’esigenza di tutelare i contribuenti.
Questo quanto precisato dalla Guardia di Finanza con le risposte fornite ieri, nell’ambito del VideoForum 2019, sia sui recenti interventi, di cui al dl 119/2018 sia, più in particolare, sugli indirizzi forniti con la circolare 1/2018 che contiene le istruzioni operative per lo sviluppo delle attività ispettive.
In effetti, con la circolare 1/2018 appena richiamata è stato precisato che le indagini finanziarie devono essere avviate “tutte le volte che risultino utili ai fini del controllo della correttezza e della completezza delle dichiarazioni fiscali, dell’accertamento delle imposte dovute e della verifica dell’osservanza del complesso degli adempimenti connessi, tenendo anche conto degli elementi di pericolosità fiscale acquisiti sul conto del contribuente e delle esigenze di economicità e proficuità dell’azione ispettiva”; l’affermazione appare molto ampia, tale da allargare oltremodo il perimetro applicato.
La Guardia di Finanza, però, ha precisato che le dette indagini vengono attivate soltanto in presenza di “apprezzabili indizi” di pericolosità fiscale, non enunciati in dettaglio, ma tali da far ritenere che il contribuente abbia fatto confluire, si afferma testualmente, sui rapporti di conto corrente, o su quelli intestati a terzi soggetti, i proventi derivanti da un’attività di evasione fiscale; un esempio, è quello della presenza di gravi illeciti fiscali (omessa presentazione delle dichiarazioni o omessa istituzione delle scritture contabili obbligatorie) a fronte di atteggiamenti e/o comportamenti rilevatori di un’alta capacità di spesa del contribuente.
Chiarita questa posizione, la Guardia di Finanza, in risposta a un ulteriore quesito, chiarisce che, al fine di rendere efficace il sistema presuntivo di determinazione di un reddito in capo al contribuente, la procedura del contraddittorio non può essere negata, anche se legislativamente non ancora contemplata.
E’ noto, infatti, che gli orientamenti giurisprudenziali di legittimità (tra le numerose, Cassazione, ordinanza n. 21767/2018) affermano che solo in caso di tributi armonizzati, si applica il diritto dell’Unione Europea, con conseguente necessità del contraddittorio endoprocedimentale.
Ma per la Guardia di Finanza, anche in relazione alle attività ispettive eseguite mediante il ricorso alle indagini finanziarie, il contraddittorio è sempre necessario e, quindi, come indicato anche nella circolare in commento (1/2018), applicabile dall’1/01/2018, la piena partecipazione del contribuente all’attività ispettiva non risponde solo a una esigenza di tutela delle istanze difensive, ma è funzionale al miglioramento della qualità delle verbalizzazioni, a prescindere dall’assenza di una norma che lo impone.
Non solo. La Guardia di Finanza, con la circolare 1/2018, dimostra un carattere collaborativo e rispettoso del contribuente a tal punto che ha codificato, per la prima volta in assoluto nella prassi relativa alle verifiche e ai controlli, una procedura di revisione dei processi verbali di constatazione (PVC), da attivarsi in presenza di una sopravvenuta conoscenza di fatti che possono, prima di tutto, modificare i contenuti del verbale ma anche, una volta notificato il verbale, riesaminare, in autotutela, uno scenario diverso da quello valutato e rilevato in sede di verbalizzazione.
Quindi, le eventuali istanze di autotutela potranno essere acquisite e valutate quando, in un momento successivo alla verbalizzazione, vengono acquisiti documenti essenziali ai fini del controllo che il contribuente accertato non aveva potuto esibire all’accesso o, appunto, prima del rilascio del processo verbale di constatazione.
Infine, sul tema della dichiarazione infedele, il reato previsto dall’art. 4, d.lgs. 74/2000, per la Guardia di Finanza, può essere integrato soltanto quando dal contribuente siano indicati elementi passivi inesistenti, e non più fittizi, ovvero costi che non trovano riscontro nella realtà fattuale.
In tali ipotesi è da escludere che rientrino le riprese di costi e spese derivanti da operazioni infragruppo, di cui al comma 7, dell’art. 110 del dpr 917/1987 (cosiddetto “transfer pricing”), poiché le rettifiche sono caratterizzate da una natura “eminentemente” estimativa, soprattutto quando, anche con riferimento ai ricavi la valutazione effettuata differisca da quella corretta in misura inferiore al 10% o quando il contribuente si attivi per rappresentare i criteri valutativi applicati, aderendo al regime degli oneri documentali, di cui all’art. 26 del dl 78/2010. (ITALIA OGGI) fabrizio G. Poggiani (riproduzione riservata)
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