Primo round a favore del settore vivaistico. Per i giudici tributari di primo grado, l’Agenzia delle Entrate deve sempre tenere conto della struttura e della potenzialità produttiva dell'azienda agricola nella fase di verifica e accertamento.
Inoltre, gli acquisti di piante da terzi non sono sempre indice rilevatore della presenza di un'attività commerciale, perché spesso sono destinati a un processo di “ricoltivazione” e/o di “manipolazione”, rientrando a pieno titolo nell’attività agricola tipica, tassata in base ai redditi catastali.
Così la Commissione tributaria di Pistoia che, con una recente sentenza depositata lo scorso 29 giugno, è intervenuta sul riconoscimento dell’esercizio delle attività agricole, da parte del comparto vivaistico locale, che, ormai da tempo, è soggetto a estenuanti verifiche da parte dell’ufficio delle Entrate locale.
Il contribuente C.M., impresa individuale collocata alla periferia di Pistoia e dedita alla produzione di piante ornamentali, dopo una verifica in azienda, aveva ricevuto un avviso di accertamento con il quale le Entrate contestavano, recuperando materia imponibile, l’esercizio di un’attività commerciale, al fianco di quella tipica di produzione; il passaggio era chiaro, riqualificare il reddito, da agrario (tassazione fondiaria) a reddito d’impresa (differenza tra costi e ricavi).
Il tutto attraverso una ricostruzione di natura presuntiva (cosiddetta “induttiva”), eseguita mediante l’utilizzo delle fatture di acquisto e di quelle emesse, giustificata, essenzialmente, dalla presenza in sede di listini prezzi della concorrenza e da acquisti eseguiti da produttori del posto, per tipologie di vegetali non prodotti dall’azienda accertata.
Il pool di professionisti incaricati, tra cui i commercialisti, rag. Massimo Rognoni e dott. Fabrizio Giovanni Poggiani, l’agronomo, dott. Sandro Pagnini e, il legale avv. Alessandro Capecchi, tutti di Pistoia e specialisti del comparto, al contrario, hanno dimostrato, richiamando anche norme e documenti di prassi recenti, che l’azienda ha sempre svolto tutte le fasi necessarie del ciclo biologico per ottenere un prodotto finito idoneo alla vendita.
Non solo. Nel corso del processo tributario, i professionisti hanno evidenziato che, per esercitare la detta attività, l’azienda era dotata di una struttura idonea all’esercizio dell’attività agricola, in particolare per la coltivazione del fondo (terreni e collaboratori in primo luogo) e che, nell’anno d’imposizione (2009), l’azienda aveva effettuato acquisti per la produzione (terriccio, concime, vasi, gasolio agricolo e altro) congrui rispetto alle piante complessivamente cedute.
Inoltre, i giudici aditi, hanno evidenziato che il settore nel tempo si evoluto, anche dal punto di vista tributario, e hanno confermato che anche l’acquisto di piante da terzi, da ricoltivare e/o manipolare, rientra nell’ambito dell’attività agricola da tassare sulla base dei redditi fondiari.
In effetti, se non si può considerare agricola per connessione la mera compravendita di piante, è da ritenere tale, senza alcun dubbio, l’attività attraverso la quale le piante acquistate da terzi vengono ricoltivate in azienda, ricevendo, all’interno del vivaio, la cura e lo sviluppo di un (ulteriore) ciclo biologico o di una parte necessaria dello stesso o l’attività di manipolazione (invasatura, concimazione, trattamento delle zolle, potatura, steccatura e altro), nel rispetto del principio della “prevalenza”, che da tempo ha sostituto il concetto (obsoleto) di “esercizio normale dell’agricoltura”.
La convinzione dei giudici è stata rafforzata, si presume, dalla copiosa documentazione fornita nell’ambito del contenzioso, con la quale è stato dimostrato che l’entità delle piante vendute nell’anno era realizzabile sui terreni utilizzati dal contribuente e, soprattutto, coerente con le strutture utilizzate, tenendo conto della modalità di coltivazione e della tipologia di piante prodotte. Fabrizio G. Poggiani - Italia Oggi (riproduzione riservata)
Pistoia, PT, Italia
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